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21 marzo 2008

"mille anni al mondo mille ancora cantando De Andrè...

Sabato 12 aprile 2008 ore 21.3o
teatro ex asilo delle Villette
via Gorizia, 2 - Crema
Vi propongo come presentazione di “Mille anni al mondo mille ancora cantando De Andrè”, le riflessioni di una cara amica che condivide con me e con tanti, l’importanza di restituire i sentimenti, le emozioni, il senso di giustizia, la libertà, l’amore, la fantasia, l’interesse per gli altri, il gusto di “farsi carico” che è dentro la musica di Fabrizio De Andrè …


Io non sono né una giornalista né tantomeno un critico musicale. Nutro però una profonda venerazione nei confronti di Fabrizio (De Andrè, naturalmente), maturata in me fin da quando, dodicenne nel lontano 1980, cantavo “la canzone di Marinella” nel soggiorno della mia casa accompagnata al pianoforte da mio fratello. La mia formazione culturale, sociale ed affettiva è passata anche attraverso l’opera di Fabrizio: ogni disco rappresentava per me una scoperta e un momento di grande emozione e crescita, grazie alla profondità delle riflessioni, alla capacità di valorizzare squarci comuni di vita quotidiana, alla raffinatezza del linguaggio e alla ricercatezza musicale: melodie mediterranee, ritmi balcanici, evocazioni mediorientali. Un modo unico per valorizzare le tipicità, a dispetto della globalizzazione.
Mi emoziona sempre incontrare qualcuno che condivide con me questa profonda passione: ieri, in un supermercato, mentre sceglievo i pomodori, il ragazzo che stava sistemando gli ortaggi fischiettava “la canzone del maggio” (francese,1968….): subito gli ho comunicato il mio stupore e, in un attimo, ci siamo riconosciuti come appartenenti a quella “famiglia” che vuole continuare a far vivere Faber e il suo messaggio. Anche il Gio appartiene a questo popolo, ma lui ha avuto il coraggio di esporsi in prima persona creando un gruppo musicale che, attraverso la riproduzione dei brani di Fabrizio, cerca di mantenere “in circolazione” la capacità di far riflettere anche quando ci si diverte cantando.
E’ difficile parlare di Faber in modo originale: è l’anarchico rivoluzionario pacifista, è il cantore degli umili e dei diseredati, è il cultore del concetto più puro di libertà. Di lui mi piace in particolare sottolineare la “trasversalità”: apprezzato da genti tutte le età, da classi sociali disparate, da varie etnie, da musicisti apparentemente inconciliabili. Una "trasversalità" evidente: le parole di Faber e la sua filosofia di vita non conoscono confini. Nemmeno temporali. Per questo ancora una volta mi ritrovo ad attendere l’esecuzione della Gio Bressanelli Band con trepidazione: canterò (altra grandissima passione della mia vita) dal mio posto in platea insieme a loro, esultando ogni volta che riconosco un brano dalla prime note.
Il repertorio scelto per questo concerto si apre con Anime Salve, l'ultima opera in ordine di tempo di Fabrizio scritta a 4 mani con Ivano Fossati. Entrambi "spiriti liberi", entrambi perennemente "in direzione ostinata e contraria", i 2 artisti sottolineano l’ineluttabile esistenza del muro che separa i "normali” dai "diversi". I transessuali, i Rom, i diversi in genere sono quelli che la società cosiddetta "normale" considera "anomalie". A seconda della cultura dominante al potere, sono stati di volta in volta tollerati o perseguitati, ma invariabilmente isolati e disprezzati.
Si prosegue con La buona novella, album uscito nel 1968 di cui lo stesso Faber dice: “Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali”. L’opera è tratta dai vangeli “apocrifi” (falsi, o meglio “non ufficiali”) e i protagonisti sono spesso gente comune che racconta di Gesù e della sua storia da angolazioni completamente diverse da quelle cui ci ha abituato l’iconografia classica.
Si passa a Creuza de ma, album che parla di marinai, di pescatori, di mercanti e del loro ritorno a casa in un'atmosfera carica della rassegnazione di chi è costretto ad un viaggio senza fine, una condanna eterna in cui i ritorni sono solo istanti per sfogare gli istinti troppo a lungo sopiti ed occasioni per riassaporare la fragranza del cibo e bere vino. E non parla soltanto di luoghi e di persone, ma ci conduce attraverso i suoni tipici dei quartieri e dei mercati, gli odori delle banchine e dei vicoli, l'umidità dei muri e dei sentieri tra le case abbarbicate ad uno spuntone di roccia a pochi metri dal mare...
Si continua con Non al denaro né all’amore, né al cielo : i brani che lo compongono sono ispirati ad alcune poesie de “L’ Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, dove il poeta critica alcuni aspetti della borghesia americana di fine ‘800 per mezzo di epitaffi-confessioni redatti dagli stessi deceduti. L’ultima canzone del disco, Il suonatore Jones, è un vero e proprio inno alla libertà, cantata dalla sola persona che in tutta Spoon River è riuscita a non piegarsi alla volontà del potere e ai sentimenti negativi. Nel suonatore si rispecchia de Andrè, che si “concede” il lusso di chiamare per nome unicamente l’ultimo personaggio, che canta solo per piacere, libero da pensieri e da preoccupazioni, infatti “Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato, per un fruscio di ragazza ad un ballo, per un compagno ubriaco…”. Il suonatore Jones è l’unico in tutto l’album che “offrì la faccia al vento, la gola al vino e mai un pensiero non al denaro né all’amore né al cielo…”.

Si passa a “Fabrizio De Andrè” più noto come l’Indiano: è l’album scritto dopo la terribile esperienza del sequestro avvenuto in Sardegna nel 1979. Vivendo per mesi con i carcerieri, parlando con loro, il poeta degli ultimi medita sull’ affinità tra sardi e pellerossa. I primi costretti sulle montagne, prima dai cartaginesi, poi dai romani; i secondi confinati nelle riserve dai bianchi. Entrambi “depredati della terra dei loro antenati, ridotti senza patria, sacrificati all’avidità dei loro invasori”. De André, che aveva sempre cantato i ribelli e gli emarginati, la cui comprensione per gli altri lo induceva sempre a comprendere e mai ad accusare, arrivò poi a perdonare i suoi sequestratori considerandoli solo vittime e non carnefici.

Il concerto si conclude poi con una carrellata dei successi più conosciuti, ma non per questo meno importanti, che sicuramente coinvolgeranno il pubblico in un turbinìo di cori ed applausi.

Ancora una volta: grazie di cuore Gio, per averci fatto divertire, commuovere e sperare che, attraverso la memoria, si possa “rubare alla morte una goccia di splendore”.
Lorena Mariani

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti

Vorrei fare a Lorena i complimenti per il bellissimo articolo e dire che anche per me la musica è sempre stata una legge morale,che ispira i nostri ideali più importanti e ci trasmette le emozioni più intense, quelle che toccano il cuore.
Sono contento che ci siano altre persone che hanno il privilegio di pensarla allo stesso modo.

Saluti
Michele

ilgio ha detto...

Caro Michele,
benvenuto sul blog !!!
Voglio poter pensare alla musica come ad un tessuto, e nascoste nella sua trama sono già disegnate le nostre emozioni.
Poi si incontra la gente si parla, si canta e le emozioni prendono il volo.

Anonimo ha detto...

e brava loren ...ma non avevamo dubbi sul brillante risultato..."an pò lunc"...purtroppo non potrò esserci alla PRIMA del live tour 2008 e questo mi amareggia però come dice un noto filoso cremasco C.D. "sà pol mia stagà ared a tot..."...comunque vada sarà un successo"...
P.S.
in "cuore" alla balena a tutti...

dvd

Anonimo ha detto...

BRAVA LORENA!!!!....bella la definizione del Giò della musica come un tessuto con nascoste nella sua trama le nostre emozioni...anche per me la musica è sempre stata emozione pura, per quanto mi riguarda la musica è stata l'unico modo in cui sono riuscita a esprimere tutto il mio mondo...il canto e la musica sono la vera me stessa.....grazie a chi come me fa della musica la sua vita! ELI

Anonimo ha detto...

Grazie Gio per la splendida serata. Eravamo lì schierati con la famiglia al completo, dai quindici ai cinquantatre anni, ad ascoltare, cantare e condividere.
Grazie Lorena per la tua bellissima presentazione. Dal momento che tuo fratello è anche mio marito, non posso che essere orgogliosa di questa “sorellina”. Anch’io a dodici anni cantavo “La canzone di Marinella”, ma a scuola: il mio giovane professore di italiano in seconda media ci ha dato come compito l’analisi logica e grammaticale proprio di questa canzone.
Era il 1967 e tutto il bello (e il brutto) doveva ancora venire. Sono cresciuta con le canzoni di Fabri”zio” De Andrè, uno zio meraviglioso e scapestrato e complice, in cui ci si riconosceva: nelle nostre grandi fiammate ideali, nella generosità più incosciente, nei violenti attacchi di insensata onestà, nell’attrazione per gli spiriti liberi, nel rifiuto di ogni ipocrisia, nella dolce malinconia degli amori impossibili. La tua generazione (adolescente negli anni ottanta) è spesso giudicata negativamente in blocco dalla mia generazione (adolescente negli anni settanta): insensibili, qualunquisti, menefreghisti, pensano solo ai soldi….. Le tue riflessioni dimostrano quanto sia sempre e comunque sbagliato giudicare in blocco. L’unica differenza è che molti di noi l’hanno pagata cara, fregati dalla droga, dalla lotta armata o da strampalati progetti idealistici. Molti sono finiti peggio, si sono venduti l’anima. Ecco perchè ti sono grata, io così spesso troppo seria nel ricordare i miei anni epici e dolorosi, per la tua passione per Fabri”zio” , per la tua competenza così “leggera”, così gioiosa, così priva di sensi di colpa. Ada